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(...) Siffatti istituti derogano chiaramente, secondo la corte, al principio dell’oralità e dell’immediatezza dibattimentale, che, non sarebbe regola assoluta bensì criterio-guida del nuovo processo al fine di contemperare il rispetto del metodo orale con l’esigenza di evitare la perdita di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede. Nell’interpretazione della corte, quindi, il sistema accusatorio positivamente instaurato ha prescelto la dialettica del contraddittorio dibattimentale quale criterio maggiormente rispondente alla esigenza di ricerca della verità; ma accanto al principio dell’oralità sarebbe presente, nel nuovo sistema processuale, il principio di non dispersione degli elementi di prova non compiutamente (o non genuinamente) acquisibili con il metodo orale. Con la legge costituzionale di riforma dell’art. 111 il principio della non dispersione della prova subisce un generale ridimensionamento, anche attraverso norme di diritto positivo, che di quell’articolo costituiscono attuazione. Detto articolo infatti, in via precettiva, offre ampi spazi per una sua immediata applicazione all’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi si è sempre e volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore; in via programmatica, poi, esso ha fissato i principi, poi attuati dal legislatore ordinario con la legge n. 63 del 2001 per ridisegnare le possibili proiezioni processuali delle dichiarazioni "difformi" (art. 500 comma 1 e 2) e per regolare in deroga al principio del contraddittorio per la prova, le ipotesi di "consenso dell’imputato" (art. 500 comma 3), di "impossibilità di natura oggettiva" e di "condotta illecita" (art. 500 comma 4).

Per quanto riguarda il principio della necessità della piena assunzione di responsabilità nei confronti dei propri atti che incidono negativamente su altri, esso in quanto affermato come valore condiviso e fondante della nostra società, ha posto il legislatore di fronte all’arduo compito di operare una delimitazione del diritto al silenzio riconosciuto all’imputato. Non è in discussione il diritto dell’imputato al silenzio sul fatto proprio: il precetto "nemo tenetur se detegere" è da sempre connotato essenziale alla regola processuale. Ma non può più darsi come accettabile il silenzio quando si accusano altri: è valore costituzionale che chi è accusato di un reato abbia la facoltà di interrogare o di far interrogare davanti al giudice, in contraddittorio, le persone che rendono dichiarazioni a suo carico e che la sua colpevolezza non possa essere provata sulla base delle dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. Esito del bilanciamento dei valori in gioco è che l’imputato ha diritto al silenzio, ma se ne dispone accusando altri, ha la responsabilità di sottoporsi al contraddittorio. È in tale facoltà che trova, peraltro, espressione il principio di pubblicità non essendo consentito di norma ogni silenzio per chi accusa (principio fondante di democrazia evoluta, se già Socrate nella sua apologia nel rivolgersi a Meleto che l’accusa di corrompere i giovani, gli dice: "Rispondi, o caro. Infatti anche la legge comanda che si risponda".