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Approvo

L'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di gara pubblica e gli effetti sul contratto nelle more stipulato

La problematica relativa ai rapporti tra il procedimento di aggiudicazione di gara pubblica (che si conclude con un provvedimento amministrativo) e il contratto stipulato in esito a detto procedimento si pone come diretta conseguenza della particolare natura dei contratti della pubblica amministrazione, quale fattispecie complessa in cui convergono profili sia pubblicistici che privatistici.

Infatti, mentre in diritto civile la formazione del contratto è lasciata alla libera iniziativa delle parti, salvo il rispetto dei principi di correttezza e buona fede, in diritto amministrativo, per regola, la formazione del contratto è preceduta da un procedimento, cosiddetto ad evidenza pubblica, in cui, in parallelo agli atti o ai procedimenti contrattuali di diritto privato, si svolgono dei procedimenti amministrativi aventi lo scopo di rendere conoscibili, anche mediante controlli, i motivi di pubblico interesse del contratto.

Più specificamente, il procedimento ad evidenza pubblica è un procedimento di procedimenti che si articola in almeno quattro fasi necessarie: la delibera a contrattare, con cui la P.A. dichiara l'intento di addivenire ad un contratto di un certo tipo e contenuto; la scelta del contraente (nelle forme di asta pubblica, licitazione privata, appalto-concorso, trattativa privata); l'aggiudicazione-stipulazione ed infine l'approvazione.

Nell'ambito di tale procedimento, una prima classificazione attiene agli atti amministrativi suscettibili di incidere sul contratto stipulato in esito ad esso.

Si distinguono, pertanto, atti privi di rilevanza diretta, atti a rilevanza interna e a atti a rilevanza esterna. Per quanto riguarda i primi, si esclude che abbiano rilevanza diretta rispetto al contratto e quindi possano incidere su di esso, in quanto si tratterebbe di atti con funzione strumentale limitata alle attività interne dell'amministrazione ( quali il progetto di contratto di cui all'art. 5 della legge sulla contabilità dello Stato, i pareri, la mancata iscrizione in bilancio della spesa derivante dalla stipulazione del contratto, ecc.).

Ugualmente, gli atti a rilevanza esterna, essendo atti tipicamente condizionanti l'efficacia del contratto, che possono precedere la stipulazione (autorizzazione) ovvero seguirla (approvazione o visto), inciderebbero sulla sola efficacia del contratto, non sulla sua validità, e pertanto la nullità o l'inesistenza di essi, ovvero la loro rimozione, in sede giurisdizionale o di autotutela, comporterebbe la sola inefficacia del contratto mentre, la mera illegittimità, non rilevata d'ufficio dalla P.A., ne tramite impugnazione, non avrebbe alcun riflesso nemmeno sull'efficacia del contratto.

Un problema di incidenza si pone invece per gli atti a rilevanza intema, ovvero condizionanti la validità del contratto, quali ad esempio la deliberazione di contrarre, l'aggiudicazione, la delega conferita ad un organo amministrativo al fine di concludere il contratto.

Trattandosi di atti indefettibili al fine della legittima genesi del contratto, esisterebbe una sorta di automatica comunicabilità del vizio dell'atto rispetto alla stipulazione.

Sicché, a fronte della nullità dell'atto amministrativo, o della inesistenza di esso, il contratto non potrebbe che essere inficiato dallo stesso vizio.

Allorquando, invece, l'atto fosse illegittimo, il contratto sarebbe attinto da un vizio più tenue, essendo solo annullabile.

Sul piano ermeneutico, il problema dell'interazione tra profili pubblicistici e privatistici (e relativa qualificazione della patologia del contratto stipulato dalla P.A. in conseguenza dell'illegittimità degli atti del procedimento ad evidenza pubblica) ha suscitato in dottrina e giurisprudenza un vivace dibattito che vede a confronto diverse tesi, esemplificativamente riconducibili a cinque distinte categorie:

  • la tesi dell'annullabilità relativa ex art. 1441 c.c.;
  • la tesi della nullità assoluta;
  • la tesi della caducazione automatica;
  • la tesi dell'inefficacia ex art. 1398 c.c.;
  • la tesi del travolgimento del contratto con salvezza dei diritti dei terzi di buona fede, in applicazione analogica degli artt. 23 co. 2 e 25 co. 2 c.c..

Da tali premesse il suddetto orientamento trae la conclusione che gli atti amministrativi adottati nel contesto della procedura di evidenza pubblica, che precedono la stipulazione dei contratti iure privatorum, "non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell'ente pubblico, sicché i loro vizi traducendosi in vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, non possono che comportare l'annullabilità del contratto, deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente".

L'annullabilità relativa del contratto ex art. 1441 viene, poi, giustificata, dal punto di vista dell'inquadramento teorico, ricorrendo a diverse prospettazioni.

Secondo una prima opinione si tratterebbe di un'annullabilità derivante da una sorta di incapacità a contrattare, la cui nozione sarebbe rinvenibile dall'art. 1425 c.c. e farebbe particolare riferimento all'ipotesi in cui il vizio della serie procedimentale ad evidenza pubblica consista nella radicale mancanza o caducazione della stessa deliberazione di contrattare.

Secondo altro orientamento le eventuali anomalie del procedimento amministrativo prodromico si tradurrebbero in veri e propri vizi del consenso della

P.A. contraente, alla stregua delle fattispecie tipizzate dagli artt. 1427 e sa. c.c. in cui si colloca, tra le altre, l'ipotesi del vizio del consenso per errore essenziale e riconoscibile sulla qualità (di legittimo aggiudicatario) dell'altro contraeste (come dal combinato disposto degli artt. 1428 - errore essenziale e riconoscibile - e 1429 n. 3 - errore sull'identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, in quanto determinante del consenso).

Un ulteriore orientamento, prevalente in dottrina e giurisprudenza, infine, preferisce optare per l'annullabilità da difetto di legittimazione negoziale, configurando la legittimità degli atti del procedimento ad evidenza pubblica come condicio iuris sine qua non per abilitare la P.A., pur dotata dell'astratta capacità giuridica e di agire, a stipulare in concreto il contratto.

La tesi della nullità assoluta, fortemente rappresentata in dottrina e recepita di recente dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sent. 6281/02; Tar Campania, sent. 3177/02 e Tar Puglia, sent. 3 94/03) viene argomentata secondo tre alternative prospettazioni.

Un primo orientamento ritiene che l'annullamento (in sede giurisdizionale o amministrativa) degli atti amministrativi del procedimento di evidenza pubblica, facendo venir meno ex fune il procedimento di aggiudicazione, configuri una mancanza originaria del consenso della P.A. all'assunzione del vincolo negoziale; la nullità del contratto si giustificherebbe, pertanto, alla stregua del combinato disposto dagli artt. 1418 co. 2 e 1325 n. 1 c.c..

Più specificamente il Tar Puglia con la sentenza 394/03 afferma che la qualificazione della patologia in termini di nullità si fonda sulla constatazione secondo cui "la procedimentalizzazione della scelta del contraente ed il suo coordinamento a profili di interesse pubblico in ordine all'acquisizione della migliore offerta contrattuale, configurano una fattispecie complessa, nella quale convergono meri atti, operazioni materiali, provvedimenti, dichiarazioni di volontà del privato, e della quale la stipulazione del contratto rappresenta l'effetto finale.

Ne consegue che l'invalidità di atti della serie procedimentale che incidono sulla legittimità dell'aggiudicazione non consentono alla suddetta fattispecie di conseguire il proprio perfezionamento giuridico ed in primo luogo di determinare l'idem consensus (ovvero l'accordo) che costituisce elemento essenziale di ogni contratto. E' noto che il vizio radicale del consenso, nel senso del suo difetto genetico originario, produce la nullità del contratto, e non la semplice annullabilità ai sensi dell'art. 1418 11° co. c.c.."

Un'opinione minoritaria, limitatamente all'ipotesi dell'originaria mancanza o dell'intervenuto annullamento ex tunc della deliberazione a contrattare, ritiene invece che l'inosservanza del principio della copertura finanziaria (in relazione alla valutazione preventiva dell'impegno di spesa contenuta appunto nella deliberazione a contrattare) determini la nullità del contratto per mancanza della causa ex art. 1418 co. 2 e 1325 n. 2.

Altra parte della dottrina e della stessa giurisprudenza amministrativa riconduce la nullità del contratto alla generale previsione di cui all'art. 1418 co. 1 c.c., che sanziona con la nullità il contratto contrario a norme imperative.

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa, ed in particolare il TAR Campania, evidenzia che la normativa sull'evidenza pubblica, in quanto diretta -attraverso la salvaguardia della par condicio tra i concorrenti - ad assicurare i fondamentali valori di imparzialità, efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa (art. 97 Cost), nonché di tutela dell'effettività della concorrenza (artt. 2 , 3 par. 1, lett. G e 4 del Trattato CE) innegabilmente cura e protegge "interessi pubblici di primario rilievo, che assorgono a veri e propri principi del diritto pubblico dell'economia vivente, in attuazione di valori essenziali dell'ordinamento, interno e comunitario.


In questa ottica, ormai acquisita e indiscutibile, appare assai riduttiva la tesi tradizionale (dell'annullabilità relativa) secondo la quale gli atti amministrativi che devono precedere la stipulazione dei contratti iure privatorum della P.A. non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell'ente pubblico; sicché i loro vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà non possono che comportare l'annullabilità del contratto, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente.

La legittimità degli atti amministrativi attraverso i quali si dipana il procedimento di evidenza pubblica di scelta concorrenziale del privato contraente della P.A. è in realtà imposta a salvaguardia e protezione di preminenti interessi pubblici e non può essere ridotta a mero requisito interno al processo di formazione della volontà dell'ente."

Su tali basi si è dunque concluso per la sussumibilità della patologia del contratto nello schema della nullità, richiamando l'insegnamento giurisprudenziale alla cui stregua "la nullità diventa uno strumento di controllo normativo utile a non ammettere alla tutela giuridica interessi in contrasto con i valori fondamentali del sistema e si differenzia dall'annullabilità non solo perché l'atto è difforme dallo schema legale e pregiudica gli interessi del suo autore, ma perché mette a rischio i valori preminenti della comunità, il cui contrasto costituisce la ragione che l'ordinamento oppone all'efficacia giuridica tipica degli atti, sicché a tale stregua il compimento dell'atto contro il divieto legale genera ipotesi di nullità ed virtuali, proprio perché non necessitano di espresse comminatorie di legge a fronte di quelle testuali dei comma 2 e 3 dell'art. 1418; sempreché il controllo della natura della disposizione violata porti a verificare che l'interesse sotteso sia pubblico e non privato (Cass. Civ., sez. I, n. 5114/01)."

Ne consegue l'applicabilità del regime normativo di cui ali'art. 1421 c.c., che sancisce l'imprescrittibilità dell'azione di nullità, esperibile da parte di chiunque, e l'inammissibilità della convalida del negozio da parte della stazione appaltante. Entrambe le tesi giurisprudenziali della nullità assoluta (sub specie di cui all'art. 1418 11° co., per il Tar Puglia e sub specie di cui all'art. 1418 co. 1°, per il Tar Campania), pertanto, sottendono la considerazione dell'incidenza dell'illegittimità della scelta del contraente su primari interessi pubblici nella procedura di evidenza pubblica.

La differenza tra i due percorsi argomentativi risiede nel fatto che il Tar Puglia, anziché rilevare la contrarietà del contratto rispetto a norme imperative, enfatizza la portata distorsiva, rispetto alla formazione della volontà dell'ente, della violazione delle regole che presiedono allo svolgimento della procedura concorsuale, facendone derivare la deficienza genetica di una idonea manifestazione di consenso da parte della stazione appaltante.

Dal punto di vista assiologico le diverse soluzioni interpretative dell'annullabilità relativa e delle nullità radicale corrispondono ad una diversa concezione del procedimento di evidenza pubblica in materia contrattuale.

Nel primo caso, probabilmente, la soluzione poggia sull'art. 16 co. 4 del R.D. 2440 del 1923, per cui l'aggiudicazione definitiva vale contratto (nelle procedure di pubblico incanto e di licitazione privata), sicché l'aggiudicazione definitiva si identifica col contratto e l'annullamento dell'una vale annullamento dell'altra.

Tale soluzione sottende una concezione "contabilistica" dei procedimenti di evidenza pubblica, intesi come procedimenti diretti semplicemente alla formazione procedimentalizzata della volontà amministrativa e non già (secondo l'insegnamento gianniniano) come una serie distinta e autonoma di atti che doppia la serie civilistica con conseguente insensibilità del contratto (dove operano diritti soggettivi) alle vicende della serie di atti amministrativi dell'evidenza pubblica (dove agiscono interessi legittimi).

Per contro, la tesi della nullità radicale si fonda sull'idea che la ratio dell'evidenza pubblica, diretta alla scelta del contraente , risieda principalmente nella tutela del principio fondamentale della par condicio tra coloro che aspirano ad avere rapporti contrattuali con la P.A.; principio che si intreccia fortemente con quello, assolutamente fondamentale nell'ordinamento comunitario, della tutela della concorrenza tra imprese.

Le norme che prescrivono i procedimenti di evidenza pubblica e ne disciplinano l'articolazione, pertanto, in quanto intese alla tutela dei suddetti principi, hanno carattere imperativo, con la conseguenza che la loro violazione comporta la nullità del contratto, ai sensi dell'art. 1418 c.c..

Prendendo le distanze sia dalla tesi dell'annullabilità relativa che, in parte, da quella della nullità radicale, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha più volte affermato l'opzione secondo cui l'annullamento degli atti del procedimento ad evidenza pubblica (con particolare riferimento al provvedimento di aggiudicazione) travolgerebbe o eliderebbe ipso ture il vincolo negoziale illegittimamente sorto sulla base di essi: ciò in forza del senso di presupposizione - consequenzialità che giustificherebbe l'operatività dell'istituto, di elaborazione pretoria, della ed caducazione automatica.

Si tratta di un orientamento che, seppur vicino alla tesi della nullità, se ne discosta sotto più profili, quali la ricostruzione in chiave integralmente pubblicistica della vicenda; lo stretto collegamento instaurato tra l'efficacia degli atti amministrativi presupposti e l'efficacia del contratto, il quale pertanto non è originariamente privo di effetti (in ragione dell'esecutorietà dei provvedimenti della serie procedimentale ad evidenza pubblica che restano applicabili seppure invalidi); la riconduzione del regime di legittimazione e dei termini per l'impugnazione del contratto a quella prevista per l'annullamento degli atti del procedimento ad evidenza pubblica.


Tale opzione ermeneutica trova il suo punto di approdo nella recentissima sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato, n. 2332 del 5 maggio 2003.

Con tale sentenza, il Consiglio di Stato, muovendo dalla premessa assiologica dell'unitarietà della fattispecie di evidenza pubblica (con conseguente rilevanza dei vizi della fase amministrativa sull'atto negoziale) afferma che "la caratterizzazione imperativa delle prescrizioni violate e la funzionalizzazione di queste alla tutela dell'interesse delle imprese non può comportare una ricostruzione del procedimento amministrativo di evidenza pubblica come manifestazione complessa della volontà negoziale della parte pubblica (sì da dare luogo ad un contratto annullabile dal G.O. per iniziativa del solo contraente pubblico)" ma semmai rende "più plausibile la ricostruzione che configura una causa di nullità virtuale del contratto per violazione di norme imperative ai sensi dell'art. 1418,1 co. c.c., con conseguente legittimazione aperta ai sensi dell'art. 1421 c.c.."

Peraltro, la confutazione della ricostruzione basata sulla logica dell'annullamento viene dettagliatamente svolta dal Consiglio di Stato alla luce di un triplice ordine di considerazioni.

In primo luogo essa condurrebbe ad una chiara elusione del principio di effettività della tutela giurisdizionale in quanto la caducazione del contratto sarebbe sostanzialmente rimessa alla volontà dell'amministrazione , la quale paradossalmente sarebbe lo stesso soggetto soccombente nel giudizio di annullamento dell' aggiudicazione.

In secondo luogo verrebbe meno la possibilità di condannare l'amministrazione al risarcimento mediante reintegrazione in forma specifica, vanificando, così, la volontà legislativa (espressa nell'art. 7 co. 3 L. 1034/1971, come modificato dall'art.7 della L. 205/00) di "affiancare alla tradizionale tutela annullatoria una protezione più intensa e finale della situazione giuridica fatta valere, realizzata attraverso il ripristino della situazione giuridica e materiale turbata dall'attività illegittima dell'amministrazione"

In terzo luogo la teoria dell'annullamento contrasterebbe con il principio di concentrazione della tutela, evidentemente sotteso all'opzione legislativa in favore della giurisdizione esclusiva in capo al G.A. per le procedure di annullamento (art. 6,co. 1, L. 205/00) "nella misura in cui postula che la caducazione del contratto debba passare attraverso le forche caudine del preventivo giudizio amministrativo di annullamento dell'aggiudicazione e del successivo giudizio civile di annullamento del contratto".

La conclusione del Consiglio di Stato è pertanto nel senso di annettere efficacia caducante (del contratto) all'annullamento dell'aggiudicazione da parte del G.A., oltre che all'eliminazione di essa a seguito di autotutela o di ricorso giustiziale; a sostegno di tale tesi deporrebbe la valorizzazione del rapporto di consequenzialità necessaria tra la procedura di evidenza pubblica ed il contratto successivamente stipulato: "il previo esperimento delle fasi di evidenza pubblica, infatti, laddove mira a tutelare interessi obiettivi dell'ordinamento ...assume la fisionomia propria di un presupposto o di una condizione legale del contratto" di modo che l'annullamento dell'aggiudicazione "fa venir meno retroattivamente tale presupposto condizionante del contratto e ne determina, con effetto caducante, la perdita di efficacia; ne a ciò osterebbe la circostanza che il rapporto di presupposizione riguardi una fattispecie mista di collegamento tra provvedimento amministrativo e contratto di diritto privato, in quanto il meccanismo dell'effetto caducante costituisce espressione di un principio generale (icasticamente sintetizzato nel brocardo simul stabunt simul cadent) che coglie il senso di connessione inscindibile tra una pluralità di atti inscritti nell'ambito di una vicenda sostanzialmente unitaria".

Anche l'opzione ermeneutica propugnata dal Consiglio di Stato con la sentenza citata, tuttavia, non si sottrae ai rilievi critici di parte della dottrina che ne pone in evidenza alcune <controindicazioni>; secondo qualche autore, infatti, se si parte dall'affermazione che la fase di evidenza pubblica costituisce presupposto o condizione legale di efficacia del contratto, allora occorrerà ammettere che in tutte le ipotesi in cui il presupposto venga meno, tale nuova situazione determinerà la caducazione del contratto.

Ciò corrisponderebbe ad affermare, però, che l'amministrazione conserva la possibilità di agire ab esterno e unilateralmente sul contratto in qualsiasi momento successivo alla sua stipulazione e che le forme di tutela del privato contraente si risolverebbero in una tutela di interesse legittimo innanzi al giudice amministrativo, attuata attraverso l'impugnazione del provvedimento di annullamento di ufficio.

Secondo lo stesso autore, inoltre, "non sembra facilmente ipotizzabile l'esistenza di un contratto meramente inefficace in conseguenza di un vizio che colpisce non la sola efficacia dell'atto sulla base del quale l'amministrazione ha potuto addivenire al contratto medesimo, bensì di un vizio che colpisce la validità dell'atto amministrativo.

In altre parole, alla invalidità dell'atto amministrativo corrisponderebbe la mera (ulteriore) inefficacia del contratto: ma tale tesi, lungi dall'affermare un collegamento stretto tra provvedimento amministrativo e contratto, a ben guardare fonda un'autonomia del contratto stesso rispetto al provvedimento, che non sembra possibili condividere."


In merito all'individuazione della natura della patologia che inficia il contratto in conseguenza dell'annullamento dell'aggiudicazione, un ulteriore elemento di complicazione è costituito dall'art. 14 del D.lvo n. 190/02.

Con tale decreto è stata attuata la delega conferita al governo dalla L. 443/2001 in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive, al fine di definire un quadro normativo volto alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati dalla stessa legge.

Fra i criteri previsti dalla legge, si segnala quello relativo alla: "previsione, dopo la stipula dei contratti di progettazione, appalto concessione o affidamento a contraente generale, di forme di tutela risarcitoria per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica; e restrizione, per tutti gli interessi patrimoniali, della tutela cautelare al pagamento di una provvisionale".

L'art. 14 del D.lvo 190/02, nel dare attuazione a tale delega, laddove esclude per le opere strategiche che la caducazione dell'aggiudicazione risolva il contratto, lungi dal fornire un criterio ermeneutico chiaro, nella sua infelice formulazione, sembrerebbe incidere sul tema in esame nel senso di risolverlo in qualche modo alla radice e ciò escludendo qualsiasi conseguenza di carattere costitutivo dell'illegittimità dell'aggiudicazione sul contratto stipulato; ciò, peraltro, con evidenze di ricadute in termini di legittimità costituzionale.

Si pone infatti un problema di tutela del valore costituzionale del buon andamento e dell'economicità dell'azione amministrativa, laddove si fa carico alle amministrazioni aggiudicatrici di tenere in piedi contratti fondati su un'aggiudicazione illegittima, che si presumono perciò formati in modo quanto meno non corretto, e nello stesso tempo si impone ad esse di risarcire (con duplice dispendio di denaro pubblico) per equivalente il soggetto che avrebbe avuto titolo all'aggiudicazione e che è risultato vincitore nel giudizio di impugnazione.

Altro nodo problematico attiene all'estensione dell'ambito di giurisdizione del G.A. nella materia ed al tipo di tutela che ne consegue.

Sul punto, le divergenze manifestatesi sotto il profilo sostanziale (in merito all'inquadramento dogmatico della patologia che inficia il contratto) trovano puntuale riflesso nell'individuazione del tipo di giurisdizione.

Così, mentre per l'orientamento giurisprudenziale tradizionale spetta al G.O. il potere di annullamento del contratto stipulato all'esito di una gara riconosciuta illegittima, per i fautori della teoria della nullità (nel cui alveo si colloca, in qualche modo, quella della caducazione automatica) spetta al G.A. la cognizione delle controversie relative al mero accertamento della nullità (o caducazione automatica) del contratto, ove essa discenda proprio dalla presenza di vizi nella serie procedimentale amministrativa.

Secondo le argomentazioni del TAR Campano e della VI Sezione del Consiglio di Stato, infatti, diversamente opinando, emergerebbe "un'irrazionale duplicazione delle giurisdizioni, (del G.A. sui vizi degli atti di evidenza pubblica e del G.O. sulla patologia del contrario)" con una doppia tutela in perfetta antitesi rispetto alla semplificazione e concentrazione delle tecniche di tutela giurisdizionale condensate nella creazione di un modello di giurisdizione piena ai sensi dell'art. 7 della L. 205/00, nella parte modificativa dell'art. 7 co 3, prima parte della L. 1034/71.

La stessa legge, inoltre, attribuisce al giudice amministrativo giurisdizione esclusiva in materia di procedura di affidamento "lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale (art. 6 L. cit.)"; nonché in materia di pubblici servizi, ivi rientrando ogni controversia su rapporti anche di natura meramente negoziale, esclusi quelli individuali di utenza (art. 33 d. Ivo 80/98 come sostituito dall'art 7 L. cit.).

Normativa che peraltro rimanda alla nota distinzione tra servizi (art. 6) e pubblici servizi (art. 33) laddove per pubblici servizi si intendono tutte quelle attività, imputate o meno ad una P.A., ma dotate dei caratteri della necessità, accessibilità ed universalità; mentre per servizi si intendono le prestazioni che l'amministrazione acquisisce da terzi, per esigenze della propria organizzazione.

In base alla nuova disciplina, quindi, se nella materia dei pubblici servizi risulta positivamente superata l'antica posizione giurisprudenziale circa i rapporti tra aggiudicazione e contratto e il relativo riparto di giurisdizione, qualche dubbio sorge in materia di lavori, servizi e forniture in quanto la giurisdizione amministrativa, pur diventata esclusiva, conserva tuttavia il suo oggetto e cioè le procedure di affidamento e non, certamente, i rapporti contrattuali la cui esecuzione è tradizionalmente sottratta alla giurisdizione del G.A..

Una volta stabilito che il contratto stipulato in base all'aggiudicazione illegittima e annullata, sia affetto da nullità (o da caducazione automatica) resta da stabilire, quindi, quale sia il giudice competente a conoscere della relativa azione di nullità ed in particolare se ne possa conoscere il G.A. nell'ambito della giurisdizione stabilita dall'art. 6 della L. 205/00.

Sul punto il TAR Campania afferma che "se il vizio negoziale del contratto d'appalto (nullità) è semplicemente una proiezione giuridica dei vizi della procedura di affidamento, conseguendo ad esso ipso iure, appare logico ritenere che non vi sia, in realtà, alcuna distinzione tra il conoscere della procedura ed il conoscere della nullità del contratto, poiché lo svolgimento della prima attività giudiziale fa emergere di per sé l'effetto giuridico oggetto del secondo accertamento."


Alla stessa conclusione perviene il Consiglio di Stato, sul presupposto che se lo spazio di operatività della nuova norma attributiva di una giurisdizione esclusiva (estesa cioè per definizione alla cognizione di questioni di diritto) fosse circoscritto esclusivamente entro gli angusti confini intercorrenti tra il bando e l'aggiudicazione, fermandosi sulla soglia della stipulazione del contratto, essa sarebbe del tutto priva di contenuto, perché nell'ambito suddetto non vi sono situazioni giuridiche soggettive riconducibili alla categoria dei diritti soggettivi.

Ne si può ritenere che la norma in esame intendesse in quel modo attribuire al G.A. la sola potestà di disporre il risarcimento dei danni per le illegittimità commesse nelle varie fasi della gara, poiché tale potestà gli era già riconosciuta dall'art. 7 della stessa L. 205/00, senza che vi fosse bisogno di istituire a tale fine, con una previsione del tutto pleonastica, una giurisdizione esclusiva.

Posto che la soluzione prospettata da tale interpretazione consentirebbe di realizzare la concentrazione di tutti i rimedi innanzi allo stesso G.A., con l'apprezzabile risultato di rendere attingibile, in un unico giudizio, l'intera tutela offerta dall'ordinamento al ricorrente che ha ragione - dall'annullamento dell' atto amministrativo, alla declaratoria di nullità (o caducazione automatica) del conseguente contratto, fino al risarcimento del danno per equivalente, ovvero, ove possibile, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica secondo lo schema di cui all'art. 2058c.c. - rimane tuttavia da stabilire la natura e la portata di tale reintegrazione in forma specifica.

Sul punto infatti si registrano significative divergenze tra l'orientamento della giurisdizione amministrativa di primo grado e quello del Consiglio di Stato.

Per il TAR Campania nella domanda di annullamento è sempre implicita la domanda di reintegrazione in forma specifica, intesa come ripristino della situazione giuridica lesa; domanda che prevale su quella di risarcimento per equivalente con la conseguenza che il giudice deve sempre pronunciarsi sulla domanda di reintegrazione in forma specifica, sebbene, ai sensi dell'art. 2058c.c., alla pronuncia su tale domanda sia pregiudiziale la valutazione dei presupposti della materiale possibilità e della non eccessiva onerosità.

Tale tesi viene sottoposta ad una serrata critica da parte del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3338 del 18 giugno 2002. In primis, il Supremo Collegio si preoccupa di sgombrare il campo da un equivoco in cui sembra incorrere non solo il TAR Campania ma anche parte della dottrina.

"Ammettere, infatti, che la reintegrazione in forma specifica costituisca il mezzo per impartire un ordine alla P.A. di emanare un determinato provvedimento o quanto meno di provvedere in un determinato modo, finisce per attribuire all'istituto caratteri che non corrispondono in realtà alla vera e propria tutela aquiliana, ma tengono assai di più della tutela ripristinatoria.

Tale ricostruzione presuppone un concetto di reintegrazione in forma specifica del tutto diverso da quello affermatesi in sede civilistica sulla base dell'art. 2058 c.c.


Nell'ottica civilistica la reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio (o comunque riparatorio), ossia una forma di reintegrazione dell'interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio e non va confusa ne con l'azione di adempimento (diretta ad ottenere la condanna del debitore all'adempimento dell'obbligazione) ne con il diverso rimedio dell'esecuzione in forma specifica quale strumento per l'attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta della conseguenza pregiudizievole.

La forma specifica non è ne una forma eccezionale ne una forma sussidiaria di responsabilità, ma uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito, la cui scelta spetta al creditore, salva l'ipotesi di eccessiva onerosità o l'oggettiva impossibilità."

Sempre secondo il Consiglio di Stato, peraltro, il legislatore ha dichiaratamente inserito l'inciso - anche attraverso la reintegrazione in forma specifica - all'interno della disposizione che prevede che il G.A. dispone il risarcimento del danno ingiusto, con la conseguenza che contrasta con il dato letterale ogni interpretazione che pone l'istituto al di fuori di un'alternativa risarcitoria.

Lo strumento risarcitorio, sia per equivalente che in forma specifica, si caratterizza per l'imposizione al debitore (all'Amministrazione) di una prestazione diversa in sostituzione di quella originaria.

Se così è, "l'adozione da parte dell'Amministrazione di un determinato atto amministrativo attiene più ai profili di adempimento e di esecuzione che non a quelli risarcitori: in presenza di un illegittimo diniego e di accertata spettanza del provvedimento amministrativo richiesto, il rilascio dello stesso costituisce non una misura risarcitoria, ma la doverosa esecuzione di un obbligo che grava sull'Amministrazione, salvi gli eventuali danni causati al privato (esso viene infatti accordato a prescindere sia dall'esistenza di un danno patrimonialmente apprezzabile, che, soprattutto, dall'indagine sull'elemento soggettivo illecito).

Riportare anche tale fase nell'ambito della reintegrazione e quindi della tutela risarcitoria significa estendere a tale fase anche tutti i limiti di tale tutela, che sono più rigorosi rispetto ai limiti previsti per l'esecuzione.

Infatti, mentre la reintegrazione in forma specifica richiede una verifica in termini di onerosità ai sensi dell' art. 2058 comma 2 c.c., tale verifica non è richiesta in relazione alle forme di esecuzione in forma specifica della prestazione originariamente dovuta, per le quali può rilevare la sola sopravvenuta impossibilità.

Costituisce, pertanto, una diminuzione di tutela per il privato la conseguenza cui giungono le tesi criticate, in quanto quello che prima costituiva il ed. effetto conformativo per la P.A., assoggettato al solo limite della sopravvenuta impossibilità, verrebbe invece ingiustificatamente condizionato anche alla verifica di onerosità ai sensi dell'art. 2058 co. 9 c.c."

Dalla precedente disamina, sia giurisprudenziale che dottrinale, risulta evidente come, malgrado gli sforzi di elaborazione teorica, quello che è stato definito il nodo di Gordio (dei rapporti tra l'illegittimità del procedimento ad evidenza pubblico e il contratto di aggiudicazione conseguente) sia ben lontano dall'essere sciolto, ponendo problemi oltre che interpretativi anche di razionalità del sistema; problemi che, in un'ottica di semplificazione e maggiore certezza dei rapporti, sarebbe più opportuno risolvere, probabilmente, attraverso una revisione nel suo complesso dell'intero impianto normativo, piuttosto che (come è avvenuto) attraverso continui e parziali interventi di emergenza.