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[Attenzione: il presente articolo affronta le contraddizioni nella materia prima che fosse pubblicata la delibera n. 173/07/CONS, che tenta di risolvere la questione giuridica lasciando tuttavia diversi problemi sospesi. L'articolo presente può essere valido quale contributo per comprendere i motivi che hanno portato a tale, pur discusso, intervento normativo. Buona lettura.]

Il settore della telefonia, e più in generale quello delle telecomunicazioni, rappresentano una risorsa ed uno strumento indispensabile per la collettività, motivo per cui essi sono sempre stati al centro di numerosi interventi normativi.
L'essenzialità e la capillarità del servizio, allo stesso tempo, lo hanno reso terreno fertile all'insorgenza di una gran mole di controversie legate a disservizi, ritardi ed inefficienze in genere, in parte dovute alla fatica della transizione da un regime di ex-monopolio ad uno pienamente concorrenziale.
All'asserito scopo di evitare che l'ingente quantità di domande giudiziarie riguardanti il settore paralizzino l'attività della magistratura, si è introdotto l'obbligo di esperire un previo tentativo di conciliazione dinanzi al Co.re.com., onde risolvere il maggior numero possibile di controversie in sede stragiudiziale.
A distanza di diversi anni dall'introduzione di questa norma, tuttavia, in molte Regioni tale organismo di conciliazione non ha ancora ricevuto la necessaria autorizzazione dall'AGCOM, rendendolo di fatto inoperante. Quali conseguenze dunque derivano riguardo all'obbligatorietà della conciliazione alla quale esso è preposto?

L'alternativa per l'utente che voglia comunque tentare la conciliazione risiede negli altri organismi previsti dalla normativa in questione, quali ad esempio le camere di commercio e le associazioni dei consumatori; in giurisprudenza, però, rimane controverso se tale alternativa rappresenti una facoltà dell'utente o, piuttosto, comunque un obbligo.
L'esame della giurisprudenza di merito evidenzia tesi contrastanti, che non risolvono affatto la questione e, anzi, ingenerano ulteriore confusione tra gli operatori del diritto e anche tra i singoli utenti che vogliano agire personalmente, esponendo entrambi alla spada di Damocle dell'orientamento sposato dal giudice assegnato.



Un primo orientamento, infatti, fa leva sulla ratio legis deflattiva del carico delle aule giudiziarie, ritenendo che l'obbligo di conciliazione permanga in assenza dell'operatività del Co.re.com, estendendosi alle altre sedi conciliative a disposizione: a chiaro disprezzo sia del dato testuale sia della normativa costituzionale.
Altra parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che il tentativo di conciliazione presso il Co.re.com sia obbligatorio (e dunque propedeutico) soltanto per il procedimento innanzi all'Autorità Garante, qualora l'utente abbia deciso di avvalersene.
Il carattere alternativo della conciliazione emerge infatti anche dall'art. 8 com. 4 D/179/03/CSP: “l'organismo delle comunicazioni comunica all'utente le informazioni relative alle procedure di risoluzione delle controversie, anche alternative alla giurisdizione, previste dalla delibera n. 182/02/CONS”.
La delibera 182/02/CONS prevede dunque una procedura contenziosa alternativa a quella ordinaria, che la affianca ma non si sostituisce a quest'ultima e non ne costituisce il presupposto necessario. La scelta di attivare l'una o l'altra procedura è demandata all'utente.
Questa interpretazione è confermata da una lunga serie di pronunce giudiziali (Trib. di Siracusa, ord. 09/06/2005; GdP di Gubbio, sent. 5 ottobre 2005; GdP di Trento, sent. 6/8/2005, n. 553; Trib. di Taranto, sent. 18/12/2004 n. 5623; GdP di Torre Annunziata, sent. 14/11/2005; GdP di Cosenza, sent. 21/4/2004 n.1057; GdP di Ispica sent. 9/6/04 n. 41), riaffermando così il principio garantito dalla Costituzione che nessuna legge ordinaria può impedire al cittadino di rivolgersi direttamente al giudice per tutelare un proprio diritto


Un ulteriore orientamento, infine, ritiene che l'obbligatorietà sussista solo dinanzi al Co.re.com competente per territorio, quando questo sia già operante.
A sostegno di quest'ultimo orientamento, si consideri la delibera 182/02/CONS, che all'art. 3 prevede espressamente:“Gli utenti, singoli o associati, ovvero gli organismi di telecomunicazioni, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo di diritto privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell'Autorità e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio”.
L'operatività dell'articolo suddetto è, per effetto dell'articolo 1 della medesima delibera, subordinato all'effettivo esercizio da parte del Co.re.com territorialmente competente delle funzioni ad esso delegate. Da ciò consegue che ove tale organismo non risulti effettivamente operante nessun limite sussiste alla proposizione della domanda innanzi all'autorità giudiziaria.
Accade spesso che l'attore abbia provveduto ad investire inutilmente della propria vicenda il Co.re.com della propria Regione, prima di agire in giudizio, in quanto il competente organo non risultava ancora operante. In tale situazione “l'obbligatorietà della previa procedura conciliativa sancita dall'art.1 comma 11 della legge 249/'97 e ribadita come preclusiva del ricorso giurisdizionale dalla delibera 182/02 agli articoli 3 e 4, perde il suo carattere vincolante di fronte alla mancata possibilità concreta di attuarla” (Giudice di Pace di Trento sentenza 6/8/2005 n. 553).
La mancata attivazione della procedura di conciliazione ex art. 12 delibera 182/02/CONS dinanzi gli altri organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo (es. Camere di Conciliazione operanti presso le Camere di Commercio) non può essere ostativa alla prosecuzione del giudizio pendente, in quanto l'articolo la considera una mera facoltà.


In primo luogo, il ritenere obbligatorio il tentativo di conciliazione anche davanti ad organi diversi dal Co.re.com contrasta con il testo dell'articolo 12 della delibera 182/02, che attribuisce la facoltà, e non l'obbligo, di esperire tale tentativo di conciliazione. In secondo luogo si comprimerebbe da un lato il diritto di azione, creando così dei veri e propri deterrenti, e dall'altra si esporrebbe in modo forzoso l'utente a procedimenti che, a differenza di quello dinanzi al Co.re.com., risultano privi di ogni regolamentazione anche secondaria in ordine ad esempio ai contenuti dell'istanza, all'instaurazione del contraddittorio, sospensione dei termini per agire in sede giurisdizionale, attività di udienza, effetti della conciliazione, tempi di definizione ecc., oltre ad essere a titolo oneroso.
I rischi derivanti dal considerare obbligatorio anche il tentativo di conciliazione innanzi a tali organismi hanno indotto molti giudici a respingere l'eccezione di improcedibilità sollevata in casi simili a quello esemplificato, evidenziando così la natura facoltativa di tale procedura (sent. del GdP di Pozzuoli del 21/7/2004; ord. del GdP di Catania del 31/12/2004; sent. del Trib. di Torino del 21/7/2006 n. 5186; sent. del GdP di Teano del 20/2/2007).
Nei precedenti giurisprudenziali spesso richiamati a sostegno dell'orientamento contrario, si afferma che l'obbligo della procedura conciliativa davanti alla Camera di conciliazione presso le camere di commercio deriverebbe dall'obbligo a conciliare, genericamente inteso, previsto dall'art.11 L. 249/97. Tale norma, però, rinvia alla normazione secondaria realizzata con la delibera 182/02, la cui effettività è sospesa nelle more dell'attivazione del Corecom; di conseguenza, “nessuno può essere assoggettato ad un tentativo obbligatorio di conciliazione, pur essendo libero ex art.12 D/182/02 di esperire un tentativo di conciliazione davanti ad organi diversi dal Corecom”.
Ad avviso di chi scrive, in considerazione dell'importanza del settore della telefonia, si avrebbe bisogno di una interpretazione uniforme della normativa e ciò allo scopo di evitare esiti diversi per giudizi uguali, ed assicurare la certezza del diritto. La confusione creata da testi normativi spesso scritti “in punta di penna”, infatti, non avvantaggia certo il cittadino, che viene ulteriormente scoraggiato dall'incertezza dell'esito di un giudizio, dei tempi e dei costi ulteriormente aggravati, e da una intricata matassa di norme e di interpretazioni che sembra aiutare solo i gestori resistenti. È incomprensibile, d'altronde, i motivi per cui organismi già istituiti e gravanti sulle casse dello Stato rimangano paralizzati da un'inspiegabile immobilismo dell'Autorità Garante, che favorisce esclusivamente i gestori e le sedi conciliative alternative, che a differenza dei Co.re.com, richiedono un esborso spesso superiore al valore della domanda.