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La tutela della libertà sessuale tra la legislazione del 1930 e l’ultimo passaggio nel 1996

Il legislatore del 1930, sulla scia di quanto previsto dal codice previgente, dedica un apposito titolo ai reati sessuali e di costume. È evidente che tale peculiare collocazione risente del clima sociale di un epoca in cui per la tutela di alcuni beni si dà rilievo alla dimensione collettiva più che a quella individuale. Forte è l’esigenza del legislatore del tempo di presidiare da possibili aggressioni la morale pubblica al fine di garantire la conservazione di valori fondanti l’intera società.

Emblematico risulta l’uso dell’aggettivo “pubblica” che accompagna il termine morale in quanto da esso emerge con chiarezza che le stesse istituzioni si fanno garanti per la conservazione di quei valori sociali come la morale che protegge la società da qualsiasi mutamento.

Da quanto detto emerge che la violenza sessuale intanto giustifica la reazione punitiva dell’ordinamento in quanto lesiva del bene giuridico “morale pubblica”. Individuato il bene da proteggere il legislatore del ’30 ha tipizzato diverse condotte offensive di esso registrando un diverso grado di aggressione dello stesso. Da un lato, quindi, ha previsto nell’articolo 519 il delitto di violenza carnale, contraddistinto dal massimo grado di disvalore sociale, dall’altro all’articolo 521 il delitto di atti di libidine facendo derivare dal diverso grado di offesa un trattamento punitivo differenziato.

Alla luce di quanto detto non è irrilevante la riconduzione della condotta concreta del reo nell’una o nell’altra fattispecie astratta e a tal fine risulta utile una minuziosa ricostruzione dell’accaduto attraverso il racconto della vittima. Tuttavia tale necessità espone la persona offesa ad ulteriori sofferenze dovute al ricordo puntuale del fatto. Una simile circostanza passa del tutto inosservata al legislatore del ’30.

Con la caduta del regime fascista anche quei valori morali come la famiglia, la morale ecc. che esso ha garantito al fine di conservare la società sono soggetti a profondi mutamenti. In particolare lo stato repubblicano non ha più tra i suoi obbiettivi da perseguire quello della conservazione della società (ad ogni costo).

Il quadro codicistico delineato comincia ad entrare in crisi già con l’avvento della costituzione repubblicana soprattutto a seguito del mutamento dei valori fondanti la società. A rilevare nella logica del costituente è soprattutto la persona considerata innanzitutto nella sua individualità oltre che come componente dell’insieme del gruppo. In particolare viene dato risalto all’insieme delle libertà in cui essa si estrinseca e tra questi non si può non menzionare la libertà sessuale.

La lettura costituzionalmente orientata delle norme codicistiche ha posto le basi per una radicale riforma dei reati sessuali. Essi non possono più tutelare in sede penale la morale pubblica dal momento che questa non rappresenta certo un bene selezionato dai padri costituenti ma devono invece proteggere la persona nella sua libertà anche relativa alla sfera sessuale dal momento che su di essa è incentrata l’attenzione dei costituenti.

A sollecitare con sempre maggiore insistenza l’intervento legislativo è stata soprattutto la dottrina formatasi nel corso del tempo. Il legislatore non è rimasto insensibile alle richieste di intervento da parte dei custodi del diritto e spinto anche dalla rilevante frequenza di fatti lesivi della sfera sessuale interviene con una riforma nel 1996.

Le novità introdotte appaiono suggestive: muta innanzitutto la sede in cui vengono collocate le norme incriminatici di condotte lesive. Esse risultano inserite nel titolo dedicato alla libertà personale. Una simile collocazione sistematica per quanto suggestiva non ha mancato di suscitare critiche da parte di una dottrina che non ha esitato a ritenere preferibile l’inserimento di tali reati in un capo autonomo e sganciato appunto dagli altri reati contro la libertà quali ad esempio il sequestro ritenendo la libertà sessuale come peculiare rispetto alla libertà di movimento. Altra novità è rappresentata poi dal superamento della distinzione tra violenza sessuale e atti di libidine. Ad essere infatti puniti sono gli atti sessuali, intendendo per tali ogni comportamento lesivo della sfera di libertà. È evidente che la logica sottesa ad un superamento di tale distinzione è l’esigenza di tutelare la vittima del reato e di sottrarla a minuziose e dolorose ricostruzioni dell’accaduto.

Permane inoltre rispetto al passato la perseguibilità a querela sebbene è stato raddoppiato il termine entro il quale chiedere alla competente autorità giudiziaria di agire nei confronti del reo. Il termine ordinario di 3 mesi pone la vittima dinanzi alla necessità di fare tutto subito senza aspettare di raggiungere un minimo di serenità in quanto solo il decorso del tempo permette se non l’oblio almeno una maggiore possibilità di prendere le distanze dal fatto illecito. Un simile dato rappresenta un’ulteriore riprova che ad ispirare il legislatore del ’96 è stata proprio la persona con le sue emozioni e con le sue necessità.