Menu Content/Inhalt

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

L'intricato coacervo legislativo e giurisprudenziale in tema di rifiuti è senza dubbio alla base dei numerosi dibattiti succedutisi nel tempo.

Un acceso dibattito si è sviluppato recentemente intorno alla TIA (Tariffa di Igiene Ambientale), nata dal Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (cd. decreto “Ronchi”) in attuazione delle direttive comunitarie in materia e destinata a sostituire progressivamente la vecchia TARSU (Tassa per lo smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani). Il decreto Ronchi, infatti, parla all'art. 49 di “tariffa” e non più di “tassa”, inducendo i Comuni che hanno già adottato il nuovo strumento di legge ad applicare l'IVA del 10% sugli importi dovuti.

Il punto giuridico della questione verte sulla classificazione della somma pretesa dagli enti locali quale corrispettivo pagato dalla collettività per un servizio prestato da altri (e dunque “tariffa”); oppure quale semplice tributo (la vecchia “tassa”). L'IVA, essendo un tributo a sua volta, troverà applicazione nel primo caso, e non nel secondo, non potendo costituirsi una cd. “tassa sulla tassa”.

Il legislatore tuttavia non ha mai delineato in modo preciso la natura della somma richiesta ed a tale lacuna ha cercato di porre rimedio la giurisprudenza pronunciando sentenze spesso tra loro contraddittorie.

Per dirimere la questione, infatti, è necessario indagare l'intrinseca natura delle somme versate, andando oltre la terminologia impiegata e dunque ricorrendo ad una interpretazione logica e sistematica della disposizione di legge. Tale criterio interpretativo, tuttavia, è utilizzabile dai giudici solo qualora essi ritengano che il dato testuale della norma sia ambiguo ovvero contraddittorio, essendo in ogni caso i giudici soggetti alla legge.

Tale è stata l'opinione della sezione tributaria della Corte di Cassazione Sez. tributaria, che con sentenza n. 17526 del 9 marzo 2007 non si è soffermaata sull'uso del termine “tariffa” al posto di “tassa”, rimarcando la sua natura pubblicistica-impositiva: “Gli atti con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di tariffa di igiene ambientale hanno natura di atti amministrativi impositivi di un obbligo pecuniario di natura pubblicistica, perciò sottoposto dal legislatore alla giurisdizione del giudice tributario”. Se a giudicare sulla TIA è il giudice dei tributi, la TIA va intesa per l'appunto come tributo.

A pochi mesi di distanza, tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, utilizzando un criterio interpretativo di tipo letterale, ha concluso con sentenza n. 25551 del 23 ottobre 2007 che “si configura una tassa [...] in primo luogo ove questa qualificazione sia espressamente assegnata dal legislatore ad un’entrata pubblica. Ove non risulti siffatta qualificazione, deve ritenersi che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia optato per un diverso modulo di copertura finanziaria dei costi del servizio pubblico”, escludendo così la natura tributaria della TIA.

L'Agenzia delle Entrate, facendo leva sulla forza di un così autorevole precedente giurisprudenziale, è intervenuta con la risoluzione 250E del 17 giugno 2008 ribadendo l'applicazione obbligatoria dell'IVA sulla TIA con l'aliquota del 10%, come stabilito dalla Tabella A, Parte III, n. 127-sexiesdecies del decreto IVA.

Alla luce di quanto detto, sembra quanto mai incerto l'esito di eventuali contenziosi instaurati al fine di ottenere la restituzione dell'IVA versata; e d'altro canto, il mancato pagamento espone a delle sanzioni da parte degli enti creditori.