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La Corte di Cassazione, nella summenzionata sentenza, ribadisce la profonda differenza sussistente tra l’azione di rivendicazione e l’azione di restituzione.

L’inquadramento di una fattispecie concreta nell’una o nell’altra tipologia non è scevra di conseguenze sotto molteplici aspetti, tra cui quello inerente l’onere probatorio a carico di chi agisce in giudizio.

Di particolare importanza è capire per esempio la natura dell’azione con cui viene chiesto il rilascio di un bene detenuto sine titulo e quella invece con cui viene chiesto il rilascio di un bene detenuto sulla base di un titolo, inizialmente esistente, e che poi sia venuto meno nel corso del tempo.

Per quanto riguarda il primo caso, la giurisprudenza inquadra tale fattispecie nell’ambito dell’azione di rivendicazione in quanto in questa ipotesi non vi è mai stato un negozio giuridico che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il soggetto contro cui si agisce. Trattandosi di azione di rivendicazione, essa soggiace di conseguenza alla probatio diabolica.

La seconda ipotesi, invece, viene inquadrata nell’ambito dell’azione di restituzione che si configura quale azione personale ed è destinata ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall’attore al convenuto, in forza di negozi quali la locazione, il comodato, il deposito e così via. Tale azione a differenza di quella di rivendicazione non presuppone necessariamente nel tradens la qualità di proprietario.

La Cassazione a Sezioni Unite ribadisce in un importante passaggio della sentenza che “[…] le azioni di rivendicazione e di restituzione sono accomunate dallo scopo pratico cui entrambe tendono -ottenere la disponibilità materiale di un bene, della quale si è privi -ma si distinguono nettamente per la natura, poiché all'analogia del petitum non corrisponde quella delle rispettive causae petendi: la proprietà per l'una, un rapporto obbligatorio per l'altra. La prima è connotata quindi da realità e assolutezza, la seconda da personalità e relatività. Nella rivendicazione la ragione giuridica e l'oggetto del giudizio coincidono, identificandosi nel diritto di proprietà, di cui l'attore deve dare la c.d. probatio diabolica, dimostrando un acquisto del bene avvenuto a titolo originario da parte sua o di uno dei propri danti causa a titolo derivativo (acquisto che per lo più deriva dall'usucapione, maturata eventualmente mediante i meccanismi dell'accessione o dell'unione dei possessi). Nel caso dell'azione di restituzione si verte invece su una prestazione di dare, derivante da un rapporto di carattere obbligatorio [...]”.