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Il reddito di cittadinanza è stato introdotto nel 2019 allo scopo di garantire un riequilibrio sociale e si concretizza in un sussidio destinato alle famiglie con ISEE non superiore ad Euro 9.360,00.

Nella sua pur breve vita, tale istituto è stato già al centro di numerose vicende giudiziarie che sono sfociate in molteplici sentenze, sia di merito che di legittimità. Tra i vari profili analizzati dai Giudici, rilevante è quello attinente alla condotta dell'aspirante beneficiario che ometta di dichiarare redditi, sia pure esigui, tali in ogni caso da non superare la soglia degli Euro 9.360,00. La Corte di Cassazione con la sentenza 5289 del 2020 ha analizzato il seguente caso:

Due coniugi, in concorso tra loro, allo scopo di ottenere il beneficio economico del reddito di cittadinanza, hanno attestato il falso nell'autodichiarazione presentata ai fini della concessione del beneficio ed hanno dichiarato di essere disoccupati. I carabinieri però hanno scoperto che il marito prestava attività lavorativa in nero in un bar, percependo un compenso di Euro 180,00 a settimana.

Sul piano giudiziario la vicenda si è sviluppata nelle seguenti fasi;

1) Il GIP ha emesso un decreto di sequestro preventivo della Carta Postamat RDC, ritenendo l'omessa dichiarazione del reddito rilevante sul piano penale, anche se non incidente sulla effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio;

2) La difesa della moglie ha avanzato una richiesta di riesame avverso il sopra menzionato decreto asserendo, tra l'altro, che la retribuzione, percepita in nero e non dichiarata, non avrebbe in ogni caso pregiudicato il diritto a percepire il trattamento economico in quanto la soglia reddituale era comunque al di sotto del livello previsto dalla legge, ossia di Euro 9.360,00;

3) Il Tribunale ha confermato con ordinanza il decreto di sequestro e ha ritenuto infondata la prospettazione difensiva;

4) La difesa ha presentato ricorso per Cassazione ribadendo l'inesistenza dell'obbligo di comunicare la variazione del reddito in quanto esso, per la sua entità (180 euro a settimana) era comunque al di sotto della soglia reddituale massima prevista dalla legge ( Euro 9.360,00).

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha condannato la ricorrente alla refusione delle spese processuali. I Giudici di legittimità hanno fondato la loro decisione sul dovere di lealtà del cittadino verso l'amministrazione e sulla necessità di una leale cooperazione tra chi eroga il beneficio e chi lo riceve. Secondo i Giudici, quindi, il cittadino che aspiri ad ottenere il beneficio oppure che già lo percepisca ha l'obbligo di comunicare all'ente erogatore qualunque circostanza e non può arrogarsi il potere di scegliere cosa comunicare e cosa omettere.