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(...) Ciò costituisce una specificazione di quanto già previsto nel terzo comma dello stesso articolo in cui si riconosce alla persona accusata "la facoltà davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare la persona che rende dichiarazioni a suo carico".

Contestualmente, l’articolo 111 Cost. prevede nel quarto comma che eccezionalmente, nei casi regolati dalla legge, la formulazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Le possibili deroghe al principio sono riservate alla legge, che può ammetterle solo se fondate sul "consenso dell’imputato", su una "accertata impossibilità di natura oggettiva", su una mancata assunzione in contraddittorio dovuta a "provata condotta illecita". È possibile rinunciare alla formazione dialettica della prova quando sussiste l’impossibilità oggettiva di realizzare il contraddittorio. Questo porta a ritenere che le norme che fanno riferimento alla irripetibilità, per giustificare l’inserimento nella fase probatoria di elementi cognitivi provenienti dalle indagini, non costituiscono espressione di una regola generale (cosiddetto principio di non dispersione dei mezzi di prova), ma, al contrario, sono le traduzioni codicistiche di una eccezione ora costituzionalizzata accanto alla regola. Ne deriva che le interpretazioni precedentemente date dalla corte costituzionale (sentenza n. 255/92) alla luce del principio di "non dispersione dei mezzi di prova" mal si conciliano con il nuovo quadro normativo. Nel riconoscere, infatti, che il sistema accusatorio positivamente instaurato ha prescelto la dialettica del contraddittorio dibattimentale quale criterio maggiormente rispondente all’esigenza di ricerca della verità, la corte affermava che, accanto al principio dell’oralità era presente il principio di non dispersione degli elementi di prova, non compiutamente (o non genuinamente) acquisibili con il metodo orale.che la volontà del legislatore esprimesse anche un principio di non dispersione dei mezzi di prova emergeva con evidenza, secondo la corte, da tutti gli istituti che recuperano al fascicolo del dibattimento, e quindi alla utilizzazione probatoria, atti non suscettibili di essere surrogati (o compiutamente e genuinamente surrogati) da una prova dibattimentale: in tal senso depongono le disposizioni sugli atti irripetibili (art. 431 c.p.p., il quale dispone l’allegazione al fascicolo dibattimentale dei verbali degli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria), sugli atti assunti nell’incidente probatorio (art. 392 c.p.p.), sulla lettura degli atti assunti dal pubblico ministero o dal giudice nel corso dell’udienza preliminare, quando per fatti o circostanze imprevedibili ne è divenuta impossibile la ripetizione (art. 512 c.p.p., configurato dalla dottrina come una sorta di necessario correttivo, avente carattere generale, al principio dell’oralità), sulla lettura di dichiarazioni rese dall’imputato (o dall’imputato in procedimento connesso o collegato) qualora sia contumace, assente, ovvero si rifiuti di rispondere (art. 513 c.p.p.), sull’acquisizione di dichiarazioni rese da testi "nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto" o utilizzate per le contestazioni nell’esame (vecchio art. 500 quarto comma e art. 503, quinto comma).